Trucidato a Torre Annunziata, ammazzato a soli 25 anni. Alfonso Fontana, rampollo della famiglia dei Fasano di Castellammare di Stabia, sarebbe stato attirato in una trappola a pochi metri dal tribunale oplontino. Poco dopo le 21.30 di mercoledì sera, mentre in tutte le case andava in onda Sanremo, l’efferato omicidio del giovanissimo pregiudicato stabiese.
Da poco era uscito dal carcere, per aver scontato 4 anni e otto mesi di reclusione, in seguito a un raid in villa comunale a Castellammare. Era il 2016 quando istigò il cugino a sparare alle gambe un giovane di Scanzano, poco dopo un litigio tra i due. Per il resto mai precedenti di camorra, nonostante le parentele eccellenti dei Fasano dell’Acqua della Madonna. Gli investigatori indagano sulle ultime ore, le ultime chiamate sul suo cellulare, ma non escludono che l’ordine di uccidere Alfonso sia partito da Castellammare. Forse aveva un appuntamento, risultato fatale. Una trappola tesa per ucciderlo.
Non è chiara quindi la matrice dell’omicidio. Anche perché chi ha sparato, stando alle immagini di videosorveglianza raccolte dai carabinieri nei pressi del tribunale, non avrebbe centrato subito l’obiettivo. Un paio di tentativi andati a vuoto, poi i colpi prima alle gambe e al torace, infine al volto. Potrebbe quindi non trattarsi di professionisti della camorra, ma killer poco esperti. Anche per questo quindi si segue la pista degli ambienti legati alla microcriminalità.
Uno strano destino quello di Alfonso Fontana, ucciso lontano da Castellammare proprio come lo zio Antonio, collaboratore di giustizia, ammazzato in agguato ad Agerola nel 2017. Secondo le indagini e le tesi dell’antimafia, sul pentito c’era una taglia da anni del clan D’Alessandro proprio per aver rivelato ai magistrati antimafia tutti i segreti della camorra stabiese. Anche perché un altro zio di Alfonso, Luciano Fontana sempre collaboratore di giustizia, aveva avuto un passato tra le fila del clan Scarpa-Omobono che dichiarò guerra ai D’Alessandro nei primi anni duemila. Una faida sanguinosa che ha visto cadere due capi indiscussi della cosca di Scanzano, proprio per mano degli Scarpa-Omobono: Antonio Martone e Giuseppe Verdoliva alias Peppe l’autista.
Alberto Cimmino