Disoccupazione al 7%, ma i datori di lavoro non riescono a trovare personale

In Italia si contano regolarmente quasi 2 milioni di persone in cerca di lavoro, con un tasso di disoccupazione che si aggira intorno al 7,2%. Questo significa che c’è una componente molto ampia della popolazione che, pur cercando una nuova occupazione, non riesce a trovarla. Dall’altra parte ci sono però anche tantissime aziende che, pur avendo delle posizioni scoperte, non riescono a colmarle.
Guardando al 2023 nel suo complesso, Anpal e Unioncamere ci dicono che, sulle 5,5 milioni di offerte attivate, nel 45% dei casi ci sono state marcate difficoltà di reclutamento. A guardare la situazione dall’esterno sembra in effetti un paradosso: il mismatch non permette al mercato del lavoro di bilanciarsi.
E la situazione sembra “patologica”, o perlomeno di difficile soluzione, sapendo che il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro sembra strutturale.
«Da una parte c’è da considerare che le persone non si limitano a eleggere un’azienda come il proprio luogo di lavoro unicamente per la retribuzione che viene offerta. Prendendo in considerazione anche aspetti come la coerenza con il proprio percorso di studi e con le esperienze precedenti, la corrispondenza con i propri interessi e obiettivi, la coerenza con le proprie attitudini e via dicendo», spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera.
«Allo stesso tempo le aziende sono disposte ad assumere unicamente candidati con le giuste esperienze e competenze, nonché preferibilmente le persone che mostrano un vivo interesse verso l’attività da svolgere», continua la Adami.
C’è poi da considerare anche una crescita delle esigenze, da entrambe le parti. Le imprese, più nello specifico, hanno imparato a riconoscere maggiore importanza al processo di selezione del personale, impegnandosi a valutare attentamente non solo le hard skills, ma anche le soft skills.
«Un buon recruiter» mette in evidenza Adami «sa che nell’assumere un nuovo talento è bene guardare al lungo periodo, senza dimenticare che è possibile e in certi casi persino facile migliorare delle competenze tecniche, laddove invece è difficile o talvolta impossibile aggiungere nuove necessarie competenze trasversali, senza le quali un rapporto lavorativo può risultare compromesso fin dall’inizio».
Tra le imprese si è quindi diffusa la consapevolezza che poter contare sui talenti giusti sia fondamentale per crescere.
E se tra le aziende è cresciuto l’impegno nell’individuare le risorse più adatte, tra i candidati sono cresciute le esigenze: le persone in cerca di una nuova occupazione hanno infatti via via ampliato la lista di fattori da prendere da valutare per prendere in considerazione un’offerta lavorativa.
«Si parla certamente sempre dello stipendio, ma negli ultimi anni hanno guadagnato grande importanza anche elementi come il work-life balance, le opportunità di carriera e la formazione, solo per indicarne alcuni».
«Senza dimenticare il fatto che oggigiorno le persone sono particolarmente propense a mettere in dubbio diversi aspetti della propria vita lavorativa» conclude la Adami.
Ecco che allora sono aumentate le esigenze da entrambe le parti, così come è cresciuta la mobilità sul mercato, innescando una competizione ancora maggiore per le offerte di lavoro più promettenti.